Una storia di crescita grazie allo sport inclusivo – dalla tesina “Coach for Inclusion” di Laura Loperfido.
Laura Loperfido parte da una parola per raccontare il suo percorso da coach for inclusion: meraviglia. “Vorrei iniziare così, con una definizione che racchiude ciò che provo ogni giorno grazie al mio lavoro,” scrive, citando la Treccani: “meraviglia, sentimento vivo e improvviso di ammirazione, di sorpresa, che si prova nel vedere, udire, conoscere cosa che sia o appaia nuova, straordinaria, strana o comunque inaspettata.”
Quella meraviglia Laura la ritrova ogni sabato mattina in piscina, da quando ha incontrato due ragazzi speciali, Antonio e Daniele. Era il 2021, ancora in piena epoca di restrizioni anti-Covid. “La società per cui lavoro cercava di garantire le attività per gli atleti con fragilità, nel limite delle restrizioni… Ho conosciuto Antonio e Daniele all’interno di un piccolo gruppo di nuotatori alle prime armi. Non mettevano il viso in acqua e non si sdraiavano. Le prime forme di galleggiamento e di spostamento erano quasi verticali e sempre assistite.”
L’acqua è stata il primo terreno comune, nonostante le difficoltà iniziali. “All’inizio è stato come cercare di comprendersi parlando lingue diverse, ognuno con un proprio codice. Lentamente, abbiamo trovato una strada comune, attraverso sguardi, gesti e parole chiave.” Grazie a quella strada, il gruppo ha iniziato a vivere la piscina come un luogo sicuro, uno spazio dove scoprire e scoprirsi. “Osservavo con meraviglia come si cercassero, come sorridessero e ridessero dei tentativi di ognuno. Si imitavano, si sfidavano, fino a proporre — autodeterminandosi — giochi acquatici da fare insieme.”
La crescita di Antonio e Daniele in acqua è stata fatta di piccoli passi, conquiste personali e collettive. “Hanno conquistato l’acqua con i loro tempi, con il loro stile adattato, acquisendo fiducia in se stessi, consapevolezza e la voglia di tornare ogni sabato a nuotare e ritrovarsi.” Quella voglia si è trasformata in qualcosa di più grande: “Quello che è accaduto successivamente mi ha sorpresa: ho visto crescere in loro — e nelle famiglie — la volontà di continuare questo percorso… Gli impegni settimanali in piscina si sono raddoppiati, e si è aggiunto anche un terzo allenamento sul campo di atletica.”
Ma soprattutto, è nato un legame. “Sempre insieme, quei due. Se Antonio saltava un allenamento, il rendimento di Daniele era compromesso, nell’attesa di vederlo sbucare dagli spogliatoi; e se Daniele mancava, Antonio mostrava disattenzione, quasi disinteresse.” Un legame che ha coinvolto anche le famiglie, che hanno iniziato a condividere tempo e momenti fuori dall’acqua. Poi sono arrivate le prime gare Special Olympics, le medaglie, i viaggi da soli con la squadra.
“Oggi il loro percorso continua, e io ho la fortuna di allenarli ancora insieme. E non smetto mai di stupirmi.” Laura lo ribadisce più volte: la meraviglia sta tutta lì, in quella relazione che si rinnova ogni volta che un nuovo atleta entra in acqua. “Quando accolgo per la prima volta un futuro atleta, è mio compito capire chi ho davanti… Ma sono convinta — e sempre ammirata — di come siano i nostri atleti a giocare il ruolo principale. Io sono solo il tramite.”
La sua storia è un promemoria potente: l’inclusione non è un esercizio di buone intenzioni, ma un lavoro quotidiano, fatto di ascolto, pazienza e fiducia. E quella meraviglia che racconta Laura, chi lavora accanto a lei la conosce bene. È il sentimento che ti prende ogni volta che vedi uno sguardo accendersi, un’amicizia nascere, una barriera crollare.
Complimenti a Laura Loperfido per la sensibilità, la passione e la competenza con cui ha raccontato questa storia di sport, inclusione e amicizia. Il suo contributo è un esempio prezioso di cosa significhi davvero essere un coach per l’inclusione.