Trenta anni, Andrea è un ragazzo molto affettuoso, capace di dare tanto al prossimo e di aprirsi, seppur con i propri tempi, agli altri. Penso spesso – racconta sua madre a bordo pista – che l’amore che dimostra per tutto quello che lo circonda non è normale; c’è qualcosa che sfugge al ragionamento razionale. Ama la musica, gli piace cantare, cucinare e una passione dirompente la mostra per lo sport, purchè non sia di contatto. Discipline come il nuoto, praticato fin da bambino, l’atletica, il basket e lo sport invernale rappresentano una grossa fetta del suo mondo ed hanno assunto, nel corso del tempo, un ruolo fondamentale alla sua crescita.In famiglia, così come negli altri ambienti che conosce bene, Andrea è molto socievole e a suo agio, quando, invece, si trova in contesti per lui nuovi tende a mettersi in disparte e a mostrarsi taciturno. Nel corso della sua vita ha senz’altro vissuto momenti di difficoltà, scaturiti non tanto, come si potrebbe pensare, dalla sua sindrome di Down, bensì dall’ambiente circostante non sempre capace di accoglierlo nel modo giusto. A scuola, come anche nelle attività parrocchiali del suo quartiere, Andrea ha sperimentato sulla sua pelle episodi di discriminazione e pregiudizio, provocati non solo dai suoi coetanei, ma anche dai loro genitori, sostanzialmente impreparati a relazionarsi con chiunque.
Special Olympics in questo senso ha rappresentato una finestra su un mondo migliore, un mondo di relazioni sane e spontanee e, per gli atleti, anche un modo sano per mettersi alla prova. Un’opportunità. Senza Special Olympics a molti di questi atleti che vediamo gareggiare oggi con tutte le forze non sarebbe stato permesso di avvicinarsi alla pratica sportiva.
Attraverso il nostro team abbiamo conosciuto un Movimento sportivo che guarda alla persona: questa è la sua forza che lo rende unico al mondo.
Andrea all’inizio si chiudeva facilmente quando non riusciva in qualcosa e questo si ripeteva continuamente nelle attività sportive, poi un giorno è riuscito a prendere coraggio e a buttare il cuore oltre l’ostacolo: ha cominciato a partecipare senza più mediazioni, offrendosi persino per aiutare i suoi compagni in difficoltà. In pratica – continua la mamma – siamo passati da partenze falsate e dai pianti per il primo posto mancato a “chiamatemi quando tocca a me” e “l’importante è partecipare e fare del mio meglio”. Una crescita incredibile!
Lo sport ha migliorato in primis le abilità sociali di Andrea e la sua autonomia. La cura della borsa e la vita in gruppo, il senso della squadra e quello di responsabilità, sono tutte piccole cose che, sommate insieme, fanno di lui un atleta e, soprattutto, un uomo migliore.
La corsa con le racchette da neve è arrivata in modo molto naturale nella vita di Andrea: come genitore gli ho trasmesso tutto l’amore che ho per la montagna, ma per la preparazione sportiva tanto ha fatto Francesca La Dolcetta, il tecnico nazionale di Special Olympics Italia che non ha mai smesso di credere in lui.
Il sogno di Andrea ora è quello di praticare sport unificato, è un’esperienza che non ha ancora mai fatto e spera presto di allenarsi con nuovi amici, atleti partner senza disabilità intellettiva che possano insegnargli a migliorare e ad accelerare la sua corsa verso la vittoria.
Il sogno di un genitore che avanza con l’età – continua la mamma- non può che essere, invece, il raggiungimento della maggiore autonomia possibile per suo figlio, tale da consentirgli di vivere una vita con una buona indipendenza. E Special Olympics è un’ottima scuola.
Qui a Bormio gareggiano 485 atleti, 485 storie di difficoltà, di sofferenza, e poi di rinascita, di crescita costante e di rivincita nei confronti del mondo intero.485 storie che meriterebbero tutte di essere raccontate.