Special Olympics, un’isola felice

Pensieri ed emozioni di un papà di ritorno dai Giochi Nazionali Invernali Special Olympics di Sappada.
È Corrado, papà di Francesco, Atleta del Team Tevere Remo.

“Un’isola di solidarietà e di fraterna amicizia, un’isola di amore gratuito verso tutti, insomma un’isola felice in un mare di frettolosa compassione o di indifferenza, se non addirittura di diffidenza di alcuni. Questo è Special Olympics che raduna centinaia di persone per un’esperienza di competizione sportiva e di divertimento, circondati dall’affetto di parenti, operatori e organizzatori.

Un’isola, perché noi genitori di figli fragili siamo un po’ come naufraghi che nuotano in acque ostili, e trovare un approdo dove ognuno aiuta l’altro – e c’è chi ci aiuta – conforta e fa ben sperare.

Ritrovarsi in tanti è stata una esperienza unica. Anche quest’anno a Sappada, nella XXXI edizione dei Giochi Nazionali Invernali, c’è stata una tale concentrazione di umanità da mettere i brividi. L’atmosfera di amicizia era avvolgente e istintiva.
Una caratteristica di chi ha un figlio disabile è di aprire il proprio cuore agli altri ragazzi fragili. Se noi incontriamo un ragazzo o una ragazza con problemi per strada addolciamo il nostro sguardo e idealmente lo accarezziamo e abbracciamo i suoi genitori. È un gesto quasi automatico. E questo è avvenuto anche a Sappada. Quei 500 atleti erano anche nostri figli.
Nel gran freddo di quei giorni, con temperature sotto lo zero e vento di tramontana, i ragazzi speciali non fiatavano, non si lamentavano, sotto cappucci e sciarpe aspettavano il loro turno di gara, attenti e fermi per poi correre con le ciaspole o sugli sci, tra gli incitamenti di familiari e pubblico di ogni età. Reggevano fino al pomeriggio con guance rosse e occhi lucidi per il vento tagliente, tranquilli, poi la sera si scatenavano in discoteca, felici tutti insieme: autistici, down, persone con l’x fragile o altre disabilità mentali.

Vedere insieme, sorridente e felice, un mondo che non conosce la cattiveria, l’odio o l’invidia e conserva sguardi di innocente stupore è stato commovente. Loro sono il grande e doloroso mistero del Creato, ma anche la parte migliore di un’umanità che spesso, crescendo, diventa superba, egoista e “si ammala”. Le stimmate che portano questi atleti (sempre dure da accettare) sono una sorta di “chiamata” per noi genitori ad essere più forti, più intelligenti, più buoni e altruisti. Riflettevo mentre li vedevo, con invidiabile capacità di adattamento, sopportare disagi imprevisti e avversità atmosferiche, che sono per noi tutti un arricchimento.

E nonostante tutto un “dono”. Sì un dono perché, grazie a loro, fragili e indifesi, abbiamo capito tutti noi, genitori, angeli custodi (gli operatori) e staff della Tevere Remo e di Special Olympics, che non possiamo limitarci a “calpestare la Terra con i nostri sandali” (riferimento biblico) per un tot numero di anni, pensando solo a noi stessi e a noi interessi. Un’altra lezione che tutti noi abbiamo ricevuto nei giorni di Sappada è che ricevere il sorriso riconoscente di una persona fragile dà grande gioia, come dare da bere ad un assetato o da mangiare a un affamato. Si dice che Dio (ovviamente nella grande e ragionevole speranza che esista), quando saremo al suo cospetto, ci chiederà tre cose: se abbiamo dato da bere agli assetati, da mangiare agli affamati e se abbiamo aperto la porta a chi, bisognoso, ci ha chiesto aiuto. Secondo me noi siamo sulla buona strada…”

 

Corrado Sessa

 
 

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